Un ecosistema fragile
che reagisce alle sfide della globalizzazione
Zanzibar è una delle mete turistiche più note al mondo.
Con le sue spiagge bianche come le vele triangolari delle dhow – le tipiche imbarcazioni locali –, le acque turchesi e le distese di mangrovie, Zanzibar nell’immaginario comune di una parte del mondo appare proprio così: un paradiso dove dimenticare se stessi per qualche giorno. A Unguja, la più grande e popolata isola dell’arcipelago, però, si stanno consumando alcune delle sfide più importanti che la contemporaneità porta con sé. Il cambiamento climatico e l’inquinamento da plastica stanno modificando non solo l’ambiente ma anche l’economia locale.
L’aumento della temperatura dell’oceano Indiano, per esempio, sta portando a un rapido declino di una delle fonti primarie per la sussistenza delle donne dell’isola: la raccolta delle alghe. L’innalzamento dei livelli della marea, la maggiore variabilità delle precipitazioni, l’aumento di eventi estremi come siccità, inondazioni e tempeste, l’erosione delle coste, la perdita di interi ecosistemi stanno rendendo sempre più vulnerabile la vita su quest’isola.
E ancora, nonostante il bando alla plastica usa e getta voluto nel 2019 dal governo della Tanzania, l’inquinamento rimane purtroppo una questione ancora aperta. Zanzibar non è un caso isolato: quello che sta accadendo qui succede anche in altre parti del mondo, al momento soprattutto in zone costiere, ma non solo. E la pandemia che nel 2020 ha bloccato il mondo intero ha peggiorato la situazione.